VOCABOLARIO DELLA LINGUA LIVORNESE

A PANE

(Essere a.........., mettersi a................etc.)

Modo di dire di antica tradizione livornese con origini ed ètimo incerti. Il suo significato è:avere una relazione amorosa, amoreggiare,flirtare, ma anche : essere sentimentalmente impegnato, fidanzarsi (in questo caso si dice meglio :<essere o mettersi a pane in casa>). Difatti la condizione di essere a pane presuppone un'intenzione seria e duratura nei confronti della partner ben altrimenti dal più superficiale e epidermico "fare franella"(v.)< Sono a pane cor una fia di Colline......> è un'espressione che può spesso sottointendere una solenne e matura assunzione di responsabilità, specialmente se pronunciata in un locale pubblico e alla presenza di amici che propongono di andare a fare una levàta di budelli a Torre del Lago.

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A TE.......

Incipit classico di numerose e svariate allocuzioni livornesi tendenti alla qualificazione diretta e inequivocabile dell'interlocutore. Alcuni (Fantappiè, De Nigris, Màstiabrodo)lo intendono come interativo intenzionale del complimento di termine che risponde alla domanda: < a chi ? >< a che cosa ? > (< alla rotta 'n culo di tù mà> direbbe l'Alberoni) Nel linguaggio popolare quotidiano livornese se ne riscontra un uso assai freguente e immutato nel tempo quando è accoppiato a noti termini ingiuriosi e offensivi:<...a te caàta><........a te buoròtto!>. E' evidente il valore rafforzativo dell'espressione che sottolinea l'esigenza, tipicamente livornese, di concentrare il massimo dell'effetto semantico nel minimo delle parole, a questo proposito il bellissimo e sintetico

<......a te zòtta!> solitamente indirizzato all'automobilista pisano che non dà la precedenza all'incrocio

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Acchecchinare e Acchcchinarsi

Verbo tipico del migliore e più autentico lessico labronico, particolarmente usato nell'espressione <.......e ti sei (siei) acchecchinato>, classica locuzione di compianto sarcastico e derisorio nei confronti di chi si trovi in situazioni di disagio fisico, mentale, morale, da lui medesimo provocate;più colorita e pregnante dell'omòloga<....e' ti sei (siei) assistemato>, ha origini oscure sulle quali si sono accese dottissime dispute nelle più accreditate Accademie livornesi. Ampelio Panciatichi , noto alleggeritore di portafogli su' filibùssi , sostiene che  ' acchecchinarsi deriva dal latino ad checchinum sesumere , cioè ridursi nelle condizioni di tale Cecchino o Checchino , marito della sù sorella Argia, che faceva la spola fra casa e il carcere dei Domeniàni; ma francamente tale interpretazione ci sembra capziosa, tendenziosa e improbabile, date anche le condizioni in cui è stata rilasciata dall'illustre studioso dopo aver vomitàto una cofana di fagioli rifatti. Abbastanza comune anche la forma transitiva <.......e' t' hanno acchcchinato>, all'indirizzo di chi abbia ricevuto cospicuo danno morale e fisico da alcuno , come colui che , sorpreso nel mezzo di un convegno amoroso dal marito della ganza , sia stato da questi smoccolato di cazzotti.

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Aggaìre

Termine tipicamente livornese che indica particolare ostentazione di disagio fisico di varia natura, quale il patire freddo, la fame, la sete, il sonno. Di origine onomatopeica, si richiama probabilmente al guaìre del cane ed è usato in forma figurata; il cane infatti è da considerarsi quale dolorosa metafora della condizione umana assai congeniale al costume labronico, che non disdegna di darne rilievo anche nelle indicazioni  strettamente anagrafiche ( tu' pa' cane ; tu' ma' cane, etc.)Ad esempio.: < qui s'aggaisce dal freddo.....> <ho ' na fame aggaisco....>, etc.

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Ajò o Ajòle ( meno corretto ahiò)

Esclamazione per lo più gridata al fine di richiamare l'attenzione, talora su un pericolo imminente. Spesso precede la somministrazione dello "storciodiòllo' ",tipica percossa livornese che consiste in un colpo assestato di pieno palmo nella regione cervicale. In qualche occasione viene usato, durante la proiezione di un western, da parte del pubblico più giovane per avvisare il protagonista dell'arrivo a tradimento del cattivo < Ajò, ajò badalì eccolo quella caàta!......>

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Alla grazia

Tipica espressione livornese. Se usata da sola e con significato sospensivo essa sta a sottolineare fatti, situazioni e cose eccezionali, di portata e dimensioni fuori del normale . < Alla grazia!.......> mormorerà pudicamente la giovane bencreata osservando lo smisurato uccello del cavallo lipizzano al circo equestre, mentre il fidanzato cercherà  invano di distrarla facendole vedere le foche ammaestrate. La stessa espressione assume valore comparativo e di attribuzione con sfumatura ironico-parodistica: < Alla grazia di bobbetailòrre!> si usava dire al paìno azzimato che gigioneggiava per le strade, paragonandolo scherzosamente all'attore americano e nota con acume il Trombadori spesso il sarcasmo dell'espressione era esaltato da un ruto.  Inoltre viene usata in forma di accoglienza e di cordiale saluto : < Alla grazia di lù lì (lui li)> si dirà vedendo spuntare un amico dentro il barre (bar).

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Allezzito

Dal verbo 'allezzìre' e 'allezzìrsi' (rifl.), cioè ridursi alle condizioni di 'lezzo'(v). Con questo termine si individua , in un ambito livornese, colui che in senso lato è da considerarsi male  in arnese, sciagurato , disperato, financo a connotare il vero e proprio morto di fame. Come spesso accade , il termine viene talora usato in maniera iperbolica enfatizando cioè il suo significato , si può quindi, correttamente, dare dell'allezzito tanto al turista tedesco beccato a lavarsi i piedi ad una fontana pubblica ma anche all'Ayatollah Khomeini  colla barba piena di ' accole quando arringava a un branco di allezzìti come lui. In qualche caso 'allezzìto' sta anche per avaro , tirchio e si adopera in preferenza nei confronti delle popolazioni lucchesi,<...the most allezzite people in the world > secondo la tesi dello studioso Mac Duff

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Interiezione di ristretta area livornese, da non confondersi con il romanesco ' ahò ' . Possiede un accentuato valore dativo e dedicatorio e viene usata preferibilmente nelle apòstrofi offensive , specie se lanciate da media o lunga distanza .

Il grido <......aò caàta !>, indirizzato all'arbitro dalle gradinate alte è anche secondo il De Robertis, tipica espressione di schietta verve livornese oltre che segno di distinzione sociale; altrove e segnatamente nelle sale cinematografiche di periferia l'improvvisa esclamazione <.......aò troiaio ! > connotava l'individuazione di un finocchio nell'atto di infastidire giovanotti e militari

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Arrocchettare

Verbo tipicamente livornese (poi magari lo dìano anche a Pisa , ma a noi ci'mporta ' n segone). Usato nella forma transitiva, intransitiva, deponente, riflessiva, ha un ètimo oscuro e incerto riconducibile alla ben nota casistica

< dog's cazz words> o espressioni < a cazzo di cane > di cui la lingua livornese è particolarmente ricca. Il Bizzozzera nel suo

(parole crociate a schema libero, Vienna 1955), attribuisce l'origine del verbo al movimento sussultante del rocchetto quando il filo si dipana, ma l'interpretazione risulta poco attendibile dato che il Bizzozzera era briào dalla mattina alla sera e notoriamente pieno di ' orna . Altrettanto capziosa e distituita di fondamento è la chiave proposta dal noto linguista Trogòlo di Torretta che, aderendo alle istanze dei Circoli neopositivi delle Quattro Fonti asserisce che la radice (rocch) deriva dal sostantivo " rocchettone " versione popolaresca del còito bucco-genitale praticato in Alta Slesia nei congressi carnali dei pastori. Parimenti non ce la sentiamo di accreditare la versione Palandri-De Nigris secondo la quale il verbo "arrocchettare" sarebbe iterativo del più comune "arroccare " e " arroccarsi " cioè assumere una posizione di difesa e di protezione da attacchi esterni. Insomma è un casino , non si si sa a chi da' retta, fra tutti vesti budiùli. Nel parlare comune il verbo è usato nelle allocuzioni  < ho ' na fame arrocchetto.......> <  ho  ' n freddo arrocchetto........> e più raramente  < arrocchetto dalla voglia di ' iava' >

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ARRONZARE

Verbo di ètimo incerto, molto usato anche in ambito non popolare. Possiede vari significati la cui matrice è: buttare,tirare là......

Ad esempio.: <Arrònzami  la scudella !> dirà il marito alla moglie che ha dimenticato di completare l'apparecchiatura. Per traslato

"arronzare" un lavoro, un'opera di qualsiasi genere, significa eseguirla frettolosamente e malamente, tirarla via alla meglio :

<...... ni s'è dato un'arronzata alla svelta > è la tipica filosofia del carrozziere per lavori  al di sotto  di 500€ . Per ulteriore trasposizione gli epiteti < arronzone > e ancor più < arronzamerde > indicano persona sciatta e trascurata, arrangiatore di bassa levatura e spesso sono usati dal datore di lavoro per definire il garzone o l'apprendista. In ultimo è da segnalare il termine

< arronzata> adoperato come sinonimo di rimbrotto , rimprovero, "lavata di capo" .

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Asciùgati (.....se ne fà n ' antra )

Trivialissima locuzione che denuncia in tutta la sua crudezza la bassa levatura morale della gente livornese. Essa rappresenta l'invito del partner maschile alla propria donna a detergersi degli umori e delle secrezioni della copulazione precedente onde reiterare l'accoppiamento. Il fatto , oltrechè volgare e disgustoso , appare anche assai risibile data la non freguente disponibilità del maschio alla ripetizione immediata del còito. Nel parlar corrente , l'espressione " asciugati " adesso in disuso, aveva assunto il significato di blanda ammonizione al prepararsi d'un evento o addirittura  di saluto generico. < Oresteeeee........, asciùgati ! > si proclamava ad alta voce allo stadio riconoscendo un amico da lontano. Della locuzione si conosce l'omòloga in lingua inglese : < Wipe yourself, that we'll make once another.........> usata da Shakespeare nel terzo atto di  "Giulietta e Romeo ".

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AVANZO

Il termine , di largo uso toscano e labronico in particolare , laddove la comune eccezione di: resto , residuo, rimanenza, scarto, si amplia in maniera considerevole a cogliere , come solitamente accade dalle nostre parti, aspetti e situazioni sàpide e grottesche.

Già è ben nota e quasi banale la coloritura che si ottiene con l'espressione  "avanzo di galera " attraverso la quale si indica la persona di tal pessima reputazione da essere considerato uno scarto perfino dai galeotti; poteva la verve toscana non spingersi oltre e coniare un icastico " avanzo di casino "  quale significazione di sommo disprezzo  nei confronti di un appartenente al gentil sesso? Poteva la creatività popolare labronica non abbandonarsi alla sublime iperbole con il termine  "avanzo di questura " indicando in questo il fondo dell'abiezione umana e a un tempo riaffermando l'inverterata sfiducia della gente nelle forze dell'ordine? Si apre poi , con il plurale " avanzi " la visione del mondo legato all'economia familiare dei bassi ceti . Il culto degli

"avanzi " infatti costituiva il fondamento della conduzione familiare fino a tutti gli anni cinquanta attraverso il quale si riusciva , in cucina, a far di pranzo cena  e a confezionare con un vestito vecchio una sottana apparentemente nuova. < Stasera ho rimediato dù avanzi......... > diceva la brava massaia livornese  mettendo in tavola un tegame dove nel sugo di pomodoro nuotava un cibrèo di morti  ritagli di braciolina, malmaritati alle patate lesse del giorno prima. < E' novaaa ! > mormoravano i figlioli dandosi di gomito.

 < E' nova ' na sega......... ------  ribatteva con autorità l'inclito pater familias in tutta la sua maestà della sua cannottiera-------- chi 'un ni sta bene  vadi a trattoria ! > Vale la pena di segnalare infine la gradevole locuzione tutta labronica :

< .......... e' saòsa de'......... e son fatto 'on l'avanzi........ >  tipica del giovanotto presuntuoso che , mostrandosi in costume da bagno , attirava  l'attenzione delle ragazze sulle proprie procaci forme e a cui non tardava a giungere l'apprezzamento delle interessate

< Palle, fai caa'!!!!! >.

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BERE

Probabilmente adesso caduto in disuso, il verbo in questione era assai freguente nel vocabolario degli adolescienti livornesi fino agli anni 60. Stava a indicare una fase ben precisa del rituale di corteggiamento amoroso. < Boia, Marusca mi beve da fà schifo...........> era l'espressione di un certo Loia di Colline noto per l'acutezza del suo ingegno e per i "rutì" mostruosi con cui votava  i "filibùsse" ; in realtà la Marusca non lo caàva nemmeno. Altrove in ambito ludico si usava dire :

< Hai mangiato ?! ............O bevi ! > rincalcando il berretto sulla testa a qualche bimbetto dopo averl tirato per la visiera; al che il vero bimbetto livornese , anche in età prescolare rispondeva immancabilmente : < bevo la buòna ti tù mà ! >.

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Bèviteli di ponci

Tipica e colorita espressione di area labronica, omòloga dell'altrettanto popolare

< màngiateli di torta...... (di cinqueeccinque, di castagnaccio) >. Essa costituisce esplicito invito a un interlocutore , anche occasionale a fare miglior uso del proprio denaro e tende a ribadire il costante assunto edonistico che caratterizza la " Weltanschauung " livornese. Apparentemente in contrasto con la nota massima : <........onci,onci,onci.... bèviti di meno ponci, guarda ome ti 'onci !> E poi c'è il mi' amìo Oreste, che una sera si e una sera no  a son di bè i ponci lo trovano appicciato alle  ' antonate der Voltone briào mezzo.

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Biasciantìngoli

Termine di rara eleganza rusticana , possiede una forte caratterizzazione arcaico-toscana ed elevata espressività; paragonabile all'antico < sartabozzi > e al meno nobile e corrivo < arronzamerde > Esso indica persona ricercata e affrettata nel modo di mangiare  e nell'apprezzamento delle vivande.

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Bimbo da puppa

(  it.  poppante bambino in fasce)

E' usato solo in forma riduttiva nella tipica e notissima locuzione : <......... c'è un bimbo da puppa ! >. Questa locuzione si può definire paradigmatica di quel fenomeno retorico livornese secondo il quale si afferma con decisione una cosa per significare il suo esatto contrario. Infatti  essa viene adoperata quando si vuole indicare una gran folla , un cospicuo assembramento di persone , il grottesco , appunto di un bambino piccolo. <E' sa' osa , c'è un bimbo da puppa !>

si dirà di uno stadio pieno di spettetori, di un cinema, di un negozio dove ci sono le liquidazioni di fine stagione.

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Boia

Tipico eufemismo di esclamazione blasfema ottenuto per eliminazione completa del primo termine lasciando invariato il secondo. Contrariamente a <....... 'o boia ! > a cui rimane per intero il significato blasfemo, la locuzione <.......boia ! > è usata quasi esclusivamente per esprimere moti di stupore e grande meraviglia ; in pratica essa ha perso del tutto il connotato di bestemmia intenzionale popolare ed è diventata puro valore fonètico , efficace e risonante a sintetizzare lo stato d'animo suddetto. Nella forma più generica si dirà

<........ boia,dè ! > in presenza di fenomeni complessi , inesplicabili e non necessariamente commentabili, quasi con funzione asseverativa : < Boia dè !> mormorerà pudicamente la fanciulla alla vista delle smisurate proporzioni del membro del proprio ragazzo. Più comunemente si può dire : <....... boia, che culo !> all'amico che ha vinto un qualche concorso a premi o che ti spara un merdosissimo full di dieci a fronte della tua scala massima.

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Bona

Forma convenzionalmente abbreviata di saluto ampiamente diffusa in area livornese. Sta per buonasera . Molto usato in ambiente diplomatico e curiale

<... bonaaa !> rappresenta il classico congedo da un interlocutore non molto intelligente o che comunque non capisce quel che gli si sta dicendo.

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Botriòne

Termine di area labronica che sta a indicare persona disgustosamente obesa. Taluni studiosi (il Geymùller Stegmann, lo Scialoja , Athosse di Sciangai ) lo interpretano come accrescitivo di "botro" (fossa o fogna a cielo aperto)in considerazione dell'elevata portata di merda di cui questo è capace .

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Botta botta (fio secco)

Espressione tipicamente livornese che indica precisione inesorabile nel compiere determinate azioni e in modo particolare nel colpire un bersaglio anche in forma figurata . L'origine è incerta ma sembra risalire all'antica costumanza dei ragazzini labronici di far cadere a sassate i fichi dai rami della pianta. La locuzione ha avuto una certa fortuna anche in ambiti non popolari ed esiste la sua omòloga < shoot shoot , dry fig > in lingua inglese usata tradizionalmente a

Buckingham Palace dalle principesse di stirpe reale per indicare la frequenza ininterrotta delle loro congiunzioni carnali con le Guardie a cavallo.

< Look there : shoot,shoot, dry fig !> (< Guarda lì : botta botta fìo secco !>) usava esclamare la principessa Margaret, rivolta alle amiche ammiccando al glorioso plotone delle Royal Hourseguards durante la cerimonia del cambio della guardia.

Da (James F. Pottacea, ) (Rampiconi e sangue blu , Oxford 1955)

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Bruciaùlo (it. bruciaculo )

Il termine è largamente usato in area toscana nella sua più comune accezione che sta a indicare uno stato di irritazioni interessante le vie rettali. Intorno all'eziologia di tale stato si sono scritte pagine immortali di letteratura, nonostante che con esso si divaghi intorno a una cosa puzzolente e disgustosa come il buco del culo, E' comunque costume popolare attribuire le emorroidi

( inglese moroids, francese emorruà, tedesco moroiden, spagnolo morositas) la causa del bruciaculo anche se non possiamo ritenere estranei altri fattori , quali ràgadi, fistole (volg. sìstole), cìccioli, nonchè le micidiali e subdole scurregge vestite ribollite (cfr. La Scurreggia questa grande sconosciuta da il <Mondo di Quark> 22 gennaio 1988). Altrettanto controversa è la problematica intorno agli elementi scatenanti che conferma il primato delle arachidi (volg. caccauetti'), ma lascia ampio spazio alle noci di Sorrento , alle mandorle, all'ampia gamma dei nocciolati in genere ( torroni, panforti, croccanti )e al letale pistacchio nervino che immobilizzando fatalmente le feci in sede presfinterica da luogo al temutissimo fecalòma (volg. tappo ) , provoca sofferenze inaudite e se del caso determina il ricorso al taglio cesareo. L'aspetto sociopsicologico della questione è stato a lungo dibattuto intorno alle due tesi contrapposte : la prima proviene dalla scuola stoicorazionalista di Brema che ritiene risolutivo il rapporto tra causa ed effetto nella catena logica emorroidi-bruciaculo-bidet ( tesi sostenuta anche da Hegel che, afflitto da emorroidi tentacolari , passò metà della sua infelice esistenza col culo a molle nell'acqua diaccia dove elaborò gran parte delle sue sconvolgenti teorie filosofiche) la seconda di impianto decisamente labronico sorta intorno al cenacolo del tortaio Unghienere, conferisce al "bruciaùlo' " una realtà esistenziale autonoma invarantesi nello stato d'animo di inquietudine permanente che coglie il soggetto adulto colpito da tale irritazione ; ne consegue una sorta di inappagabile ansia nei confronti del mondo sensibile e delle vicende dell'umano genere un irrequieto interrogarsi sul futuro , un pessimo cosmico e tempestoso che rende ardua ogni decisione, ogni scelta : insomma quello status che ingenera la classica domanda < Ma cos'hai , de' il bruciaùlò ? > In altre occasioni negli ambienti diplomatici il termine viene usato per colorite locuzioni auguràli : < Ti venisse il bruciaùlò !> o genericamente viene sminuito quale significazione di bisogno o di urgenza: < M'è preso il bruciaùlò di

' ambia' la macchina..........>.

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Bùa (it. buca )

In area livornese il termine possiede senso figurato nell'espressione "fare la bua",

riferita più che altro all'atto di coricarsi, di riposare con soddisfazione e ristoro.

< Sono andato a letto e ciò fatto la bùa> è la colorita locuzione di chi ha riposato profondamente dopo una giornata di faticoso lavoro.  Evidentemente l'espressione trae origine dalla impronta corporale lasciata dal dormiente sul giaciglio, mentre non v'è menzione alcuna del  pur rimarchevole puzzo di piedi e di scurregge stantie che intorno a tale impronta solitamente permane. Con altro significato il termine compare nella locuzione "bùa dell'orate " (buca delle orate) che sta a indicare occasione assai fortunata e fruttuosa , estendendo genericamente l'apprezzamento di una zona particolarmente pescosa, quale appunto la buca sottomarina dove allignano le orate, a situazione diverse; tale locuzione può sembrare assimilabile alle più note "miniere d'oro " o " vigne in Chianti " alle quali però manca l'immediatezza saporitamente povera e marinara di questa. < L'hai trovata la bùa dell'orate..............> si dirà a colui che gode , talora anche indebitamente , dei frutti di una situazione particolarmente favorevole .

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Bùo a bùo (a......)

Locuzione tipicamente livornese tuttora in uso anche in ambiente non popolare. Serve a sottolineare situazioni di emergenza, di rischio, di incertezza, di ristrettezza, compendiandole mirabilmente, come spesso accade nella nostra lingua. <C'è passato a bùo a bùo....> ( di stretta misura ), < E' arrivato a bùo a bùo......> (appena in tempo), l'interazione del termine "bùo" tende a connotare la difficolta di transito da un passo comunque obbligato e per traslato si identifica con l'emergenza temporale , per cui

"a bùo a bùo = " di stretta misura" = " a malapena " = " in extremis "secondo l'analisi strutturalista saussuriana (madonna ragazzi ne' nvento sempre una nova.....)

E' noto l'apocrifo dantesco <......... a bùo a bùo , pur mirando in suso /del duca mio passammo dal pertuso..........> in virtù del quale è stata per anni accreditata l'ipotesi che Virgilio fosse omosessuale.

 

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Bùo della ' onca  (it. buco della conca)

La conca è un suppellettile, adesso caduta in disuso , nella quale si faceva il bucato. Consisteva in un grande recipiente di terracotta di forma tronco-conica che veniva collocato , per lo più all'aperto , su una base di fortuna (tavole o traverse di legno ). Simboleggiava , insieme ai fornelli  l'asservimento della donna ai lavori domestici ; <....... alla ' onca ! > era una frequente locuzione popolare rivolta all'indirizzo di donne che manifestavano  tendenze alla emancipazione, inteso come invito a occuparsi di cose che sembravano più congeniali alla condizione femminile. Uno dei problemi  collegati all'uso della conca era quello della svuotatura dell'acqua, brillantemente risolto da un buco , praticato  alla base del recipiente , che veniva tenuto chiuso da un tappo di sughero avvolto in un cencio. Da qui l'espressione < inventare' r bùo alla ' onca> , che veniva usata a commento di soluzioni facili e scontate , analogamente al più comune

< scoprire l'acqua calda >. Con raffinata figura la parola " conca " veniva altresì usata per indicare quantità fantastiche e iperboliche: < Ho mangiato ' na  ' onca di topini (gnocchi)........... > , o < Mi 'ma' m'ha fatto ' na 'onca di zerri sottopesto.........> era una manierata forma di apprezzamento di specialità gastronomiche da parte del gentiluomo livornese.

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Buo strappato (it. buco strappato )

Il termine appartiene alla vasta famiglia dei ( buo- ) ( buodiulo, buovadro, buoneroo di ' ammello, buolevere, etc.) già ampiamente trattata nelle ricerche lessicali labroniche; nella fattispecie esso è collocabile all'interno del gruppo dei derivati di   "buorotto " lèmma che nella sua ampia accezione polisemantica ha dato appunto origine a ulteriori e raffinate definizioni. Innanzitutto appare superfluo precisare che il buco di cui trattasi non può essere che  (il buco del culo o sfintère anale ) tradizionale oggetto di profonde speculazioni da parte della cultura popolare livornese di tutti i tempi ( chi non ricorda l'antica formula rituale : <Mettiti un dito ' n culo e balla sur un piede solo.............> con cui nelle famiglie indigenti  si usava esorcizzare lo spettro della fame ). La definizione

" strappato " appare qui rafforzativa del più generico " rotto" ma non aggiunge alcuna drammaticità all'assunto come qualcuno fa rilevare ( Vieni , ber mi' buo strappato........ ed altre liriche Ed.Loja. Suvereto 1968 ) ; infatti com'è costume della migliore letteratura barocca livornese  " ......l'adoperar  termini eccessivi e soverchi fa d'uopo  allo stupir piacevolmente l'inclito uditorio e con delizia n'acconsente la meraviglia......"( Castiglione , Fortori d'Arcadia)

Così quello strappato ben lungi dal suonare come accentuazione offensiva alla definizione di " buorotto " e con notazione ben più ironica del tragico " buo sfondato " restituisce alla locuzione un clima di giocosa esagerazione e la trasforma in un apprezzamento affettuoso con il quale si può anche accogliere l'arrivo di un amico.

( Ecco Gigi , quer popò di buo strappato........) o commentare benevolmente una vincita al gioco (< Quer buo strappato della mi ' socera ha ribeccato un ambo.......).

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Buovàdro (it. buco quadro o quadrato)

Epìteto geniricamente ingiurioso. Appartiene anch'esso alla famiglia delle locuzioni composte sul termine bùo- come "bùo di  ' ammello' " buonero "  " buolèvere ". Nonostante la posizione critica e fortemente dubitativa espressa dalla  Conferenza  Episcopale Italiana , non credo che possa sussistere incertezze sul fatto che il buco a cui si allude nella locuzione in oggetto sia quello del culo.  In quest'ottica il termine "buovàdro " assume significato rafforzativo del più generico

"buodiùlo " , anche se viene usato con più parsimonia e in casi speciali , specie in ambito domestico-familiare. < Riecco quer buovàdro di tu' madre !.....> è la tipica espressione che indifferentemente un coniuge rivolgerà all'altro all'arrivo della suocera.

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Cààbasso (it.cacabasso)

Epìteto dispregiativo di area toscana, ampiamente usato in area livornese. Il sentimento di disprezzo per coloro che cacano basso coinvolge in questo caso le persone di piccola statura con difetti che solitamente le contraddistinguono

(astiosi, viperini, vendicativi) ; il fatto tutto ancora da dimostrare , che si vantino di avere la fava lunga così ,non vale certo a modificare la sostanza dell'assunto per cui con "cààbasso" si qualificano individui di poco momento e di scarsa attendibilità e considerazione . "A te cààbasso" è l'appellativo consueto talora accompagnato da un "ruto" di rampogna e riprovazione che il gentiluomo livornese rivolge verso il teleschermo all'apparizione del Presidende Silvio Berlusconi , secondo l'antico rituale cavalleresco del Sovrano Ordine di Malta.

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Caapranzi (it.. cacapranzi)

Termine tipicamente livornese nell'assunto filologico e filosofico, in seguito esteso in area toscana.

Secondo lo Skoda (noto glottologo omosessuale cecoslovacco, esule dalla Moravia e schedato presso la Questura di Catanzaro col soprannome di Marisa l'Uccellona ) trattasi di brachilogia ellittica figurata eufemistica attraverso la quale si sentitizza l'organo (il buco del culo) tramite la funzione (cacare il pranzo).

La tesi suggestiva e non priva di colore è confortata da varie esemplificazioni letterarie di rango , tra cui l'ormai citazione >..... yesterday night i have acchouffed it in the caapranz....< ,( ierinotte l'ho acciuffato nel caapranzi), da O.Wilde, il ritratto di Dorian Gray.

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Caarìtto (it...cacarìtto)

Epiteto blandamente dispregiativo. Pur  appartenendo alla vasta famiglia delle locuzioni composte intorno al verbo "caàre" (defecare) quali ( caàta , caòne, caaréllo ) merita attenzione particolare. Letteralmente indica persona che defeca in posizione eretta e quindi presumibilmente incontinente ------- bambino o adulto -------che non controllando le proprie deiezioni " si caà addosso" (cfr.DE ROBERTIS, LA SCURREGGIA VESTITA ,Foggia 1911) "A te caarìtto "si dirà appropriatamente all'assessore comunale che presenta le nuove soluzioni per il traffico urbano >popò di caarìtto ......< la normale reazione livornese all'apparizione del Presidente Berlusconi  sugli schermi televisivi

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Caàta (it.. cacata)

Escremento prodotto dalla defecazione. Epiteto ingiurioso totalizzante esprime in ambito popolare profondo disprezzo; non deve essere confuso con i sinonimi apparenti (stronzolo e zòtta' ) che pur appartenendo al complesso universo  della coprolalìa non riescono a raggiungere il dirompente effetto fonético di "caàta".

Difatti il grido > ....... a te caàta !< non ammette repliche e possiede forte connotazione scatologica , prova ne sia l'uso che frequentemente viene fatto nei confronti degli arbitri delle partite di calcio in alternativa al più scontato e banale

"becco " o " beccaccione ".

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Caàte ( ce n'ho per du'.... )

Locuzione complessa di vasto respiro filosofico e morale pur facendo parte della grande area della copralalìa livornese ( > parlar di merda è caro / alle Liburnie genti.....< S. QUASIMODO caàrsi addosso e altri sonetti Pavia 1948) essa individua una precisa istanza della Weltanschauung labronica poichè il sentimento e la promonizione della fine della vita vi si sublimano e si sentitizzano nella misura del tempo scandita dalla defecazione. In questo caso la " caàta " trascende il proprio significato escrementizio e diviene clessìdra del Fato , ineluttabile parametro >del viver che daranno le stelle<

come diceva il Leopardi quando ni giravano i "  'oglioni " perche Silvia la dava a tutti e a lui no , quel popo di " quadribudiulo " > Ce n'ho per du' caàte .......< dirà il mutuato quando all'usl gli fanno rifare le lastre per la terza volta.

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Caàto a forza (stronzolo....)

Pesante locuzione offensiva di ambito livornese. Essa compendia con rara efficacia il naturale disprezzo per l'escremento e la pena della deiezione , inflitta all'uomo per riscattare le proprie colpe terrene. Già lo Squarcialupi,nel suo saggio Le ragadi, dal peccato originale alla palingenesi, aveva individuato nello sforzo della defacazione il processo di sublibazione ideale, l'abbandono incondizionato delle cose terrene, la liberazione dallo " stronzolo " inteso come personificazione del male > in particolare quello con i pinoli e con l'uva passa < , precisa Sant'Agostino.  Lo > stronzolo caàto a forza < si pone pertanto come il risultato inerte dell'espiazione , l'ultimo anello della catena ontologica che partendo dalla "scurreggia vestita" attraversa l'inesplorato universo dell'intestino (> fatal burella.....<), fino al buco del culo, spiraglio di luce di speranza di salvazione (>.........alfine uscimmo a riveder le stelle< ). Espressioni come queste testimoniano l'originalità del contributo delle scuole filosofiche livornesi ( i Neoplatonici del Pontino, gli Stoici di Colline, i Briài di via del Vigna) all'evoluzione del pensiero , lasciandone traccie consistenti nel linguaggio e nel comportamento quotidiano. Nell'uso comune si dirà > stronzolo caàto a forza......< a coloro ai quali si voglia dimostrare sommo disgusto e spregio . Da alcune indiscrezioni pare che  con questa locuzione si sia espresso mons. Lefebvre nei confronti del papa alla notizia della sua scomunica.

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Camerino

Latrina ma anche gabinetto,luogo comodo stanza da bagno. Non esclusivamente di area  livornese il termine è erroneamente ritenuto volgare , letteralmente sta a indicare il piccolo ambiente destinato alle funzioni corporali escretive ed è da considerarsi diminutivo di camera. Esso ha assunto connotazioni dispregiative in virtù del fatto che solitamente come dice l'Alberoni , al >camerino < ci puzza di merda,< e anche se la parola ha origini settecentesche ed eleganti , l'immagine di Oreste che con il giornale sotto il braccio dice urlando : >Argia io vo al camerino sennò mi cào addosso !< non è tra le più edificanti e raffinate. In una recente inchiesta del "Tirreno "  effettuata su un campione di livornesi di estrazione popolare alla domanda > Che cosa si fa al camerino ?< si è ottenuto la seguente casistica di risposte:

si càa.....................................................55%

le seghe...............................................15%

si legge il Tirreno..............................22%

si scrive w la fia................................0,8%

ma vai in culo ...................................7,8%

Il carattere negativo delle suddette funzioni ha indotto nell'uso del termine un'ulteriore figurazione dispregiativa,

es. > L'avanzi dalli a tu' ma' quer popo di 'amerino......< locuzione un tempo assai usata in occasione delle feste natalizie

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Cinque e Cinque

Antica locuzione livornese che indica la tradizionale porzione della torta con il pane( cinque centesimi di torta e cinque centesimi di pane) nutrimento impareggiabile e gustoso del popolo per intere generazioni. La torta ---- cui sarà dedicato uno speciale saggio dell'emerito collega prof. Bazza- Unta------- e che in altre parti d'Italia è nota con il nome di "cecina" essendo fatta con farina di ceci rappresenta un archètipo della civiltà livornese così come i maccheroni lo sono per i Napoletani.

Belle e vivaci espressioni si conoscono sul tema del tipo .> MANGIATELI DI CINQUE E CINQUE..........< rivolta a chi spreca i soldi al gioco o in cose faute. Il neofita del " cinque e cinque" è sovente indotto in fallo dalla cospicua differenza termica tra la il pane, a temperatura ambiente,e il ripieno di fette di torta, abbollore; addentare con decisione la vivanda da luogo spesso alla nota figura poetica >..........la rotta' n culo di tu' ma' ! < rivolta al tortaio che si sganascia dalle risate.

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Cispia (it. cispa)

Come nel caso di " caccola " indica piccole porzioni di muco rappreso , ma per traslato anche la persona affetta da tale secrezione in modo permanente è pertanto oggetto di ripulsa e disgusto. Come sovente accade per altri epìteti ingiuriosi anche questo può essere usato in forma bonaria ,quasi affettiva > Vieni ,cispia ! < si dirà sorridendo all'amico incontrato per caso , al che lui risponderà con altrettanto buon animo  > Bèlloo, 'r budello di tu'ma' quant'era 'e'un ti vedevo<.

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Ciucciòne

Termine di stretto ambito livornese, indica un bacio profondo, erotico, con >......... du' metri di lingua ' n gola< come dice Sant'Agostino. In epoca anteriore agli anni settanta, quando il bacio rivestiva ancora un ruolo fondamentale nelle pratiche amatorie adolescenziali, le gallerie delle sale cinematografiche ridondavano di coppie che si sgarganavano dai ' ciucciòni. In queste occasioni il rituale imponeva che nel buio , si lanciasse all'indirizzo della coppia più appassionata , il grido :> .......ciucciaaaa!!!!!!<, al quale il patner maschile della coppia in questione, abbandonando momentaneamente la presa rispondeva immancabilmente >................ciucciami la fava!!!!!!!!!<.

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E diàtti (it. : e dicatti )

Locuzione popolare desunta dalla parlata fiorentina. Sta per < è già molto se...>

< mi contento se......> . Probabilmente trattasi di forma sincopata del verbo mendicare ampiamente corrotto e storpiato. Si usa dire < E diàtti se son vivo ...>

raccontando di un brutto incidente.

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e' ci ' onci  ( it. : ci conci)

Locuzione livornese diffusa anche in area pisana e lucchese. Nella sua apparente semplicità essa possiede un costrutto semantico assai complesso avvalendosi di uno schema perifrastico quasi arcaico. L'uso del  ' tu ' come persona generica e del  'ci ' come plurale majestatis conferisce nobiltà e solennità a un'espressione che in fin dei conti si limita a evidenziare una sostanziale ed escatologica rottura di coglioni. < ....Boia, e' ci ' onci....> è il pensiero dominante del telespettatore medio quando incappa nei documentari di Piero Angela sulle volpi volanti o nei servizi speciali del telegiornale sui viaggi del Papa in Centro america

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e ' regali fìi (boddoni) (it. : regali fichi)

Espressione tipica della conversazione livornese, venuta in uso dopo il secondo dopoguerra ma che abbiamo ragione di credere affondi le sue origini nella notte dei tempi. Notoriamente il suo significato attuale aha valenza perifrastica di affermazione fortemente iterata in senso positivo: la frase viene comunemente adoperata per confermare atti, comportamenti e pensieri anche a fronte di domande retoriche. Ad esempio :  <Mario ma a te ti piace la potta ?> <Dè !........ e ' regali fìi > ; cfr. Schwarzkopfen , IL CULTO DELLA TOPA PRESSO I POPOLI PRIMITIVI, LORETO 1878 PAG. 415.  Fino a oggi non si erano comunque trovate tracce nemmeno nella tradizione orale dell'uso di tale frase anteriormente agli anni  '50 ; inutili le ricerche dello Zampieri e dell'Arcidiacono, dello Schnizler, e del Mazzacurati; solo la Bazzona consultando un volumetto del Vernacoliere è riuscita a reperire due biglietti del filobùsse lasciati come segnalibro . Dopo aver consultato a lungo alcune amiche e amici (la Ceina, Maria la stronca e un noto finocchio dell'Origine) sono giunto alla conclusione che la simpatica locuzione in oggetto servisse a sancire ritualmente patti commerciali tra privati per scambi in natura , segnatamente nei rapporti tra popolazioni locali e le truppe alleate durante l'ultimo conflitto mondiale; è infatti testimoniato più di un episodio in cui venivano offerti canestri di fichi ai militari delle truppe di occupazione in cambio di sigarette , zucchero, e latte in polvere facenti parte delle razioni in dotazione agli stessi. Lo conferma il rev. Timothy Murchison , cappellano militare della fanteria USA, nel suo libro Boia che inculate ho preso in Italia quando racconta di avere scambiato un pacco di duecento preservativi con un cestino di fichi  <............dall'aspetto invitante > Pertanto l'atto di regalare i fichi veniva  a assumere un aspetto vantaggioso e positivo e da ciò deriva la connotazione affermativa della locuzione. Raccomandiamo la solita prudenza nell'osservazione di quanto sopra espresso, dal momento che, si può ben capire , non sussiste certezza assoluta data la scarsa affidabilita delle fonti ; comunque il budello di su' ma' chi un' ci crede.

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E' saòsa

tipica parola livornese derivata dall'interrogatorio <sai una cosa?!> <E' saòsa...sono gnudo!> esclamerà il ragazzo pavoneggiandosi in un vestito nuovo;< E'saòsa....... e se' solo !> si dirà all'amico che entra in discoteca con una topona con un metro e ottanta di cosce

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